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sabato 26 maggio 2018

Radio Corsa - Il punto sul Giro 101 (03)

#tuttoilcalcioblog



di Stefano Stradotto

La più grande impresa ciclistica del terzo millennio è andata in scena sotto i nostri occhi e nelle nostre orecchie ieri pomeriggio: Chris Froome ha ribaltato il Giro d'Italia con un'impresa che definire epica, leggendaria, d'altri tempi, non rappresenta un mero esercizio retorico. 80 km di attacco, tre salite affrontate in perfetta solitudine, tanto da far riecheggiare tra le montagne e le vallate piemontesi, tra il Colle delle Finestre e Sestriere, Bardonecchia e lo Jafferau, la voce di Mario Ferretti annunciare agli ascoltatori "un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste..." . La maglia aveva all'incirca gli stessi colori, le voci che via radio hanno raccontato l'incredibile 19a tappa erano quelle di Dotto, Brughini, Codignoni e Ghirotto, al posto di Fausto Coppi c'era invece Chris Froome.
Il re di quattro Tour de France e di una Vuelta di Spagna, mai protagonista sulle nostre strade, ha deciso in un solo pomeriggio di entrare di prepotenza nell'immaginario collettivo, forse più di quanto sia riuscito a fare con le innumerevoli maglie gialle e le imprese, comunque di altissimo livello, compiute sulle strade francesi.
Criticato, discusso, antipatico secondo molti, Froome ha in effetti sempre corso coperto e protetto dal colosso Sky, da una squadra che ha sempre fatto dell'organizzazione e dell'iper-professionismo il suo credo, sia su strada sia fuori. Intere edizioni del Tour contraddistinte dalla locomotiva del team più potente del mondo ciclistico a spadroneggiare la corsa, con Froome sempre a ruota di 5-6-7 compagni pronto ad infliggere la sua proverbiale "frullata" agli avversari ormai sfiniti negli ultimi chilometri dell'ultima salita di giornata. Per il modo di correre e di vincere Froome, insomma, non ha mai conquistato il pubblico della strada, il cuore degli appassionati di ciclismo.
In questo Giro abbiamo avuto a che fare con un Froome diverso, o semplicemente lo abbiamo scoperto meglio e perfino lui stesso ha fatto altrettanto sulle strade del Giro, la corsa che più di ogni altra mette i protagonisti faccia a faccia con i propri limiti, le proprie debolezze, la propria umanità. Disponibile, davanti ai microfoni sempre con il suo italiano buffo ma in definitiva apprezzabile, Froome è caduto due volte nella prima settimana, ha sofferto, si è rialzato, si è staccato per dieci giorni da Yates e gli altri ogni volta che la strada saliva. Poi ha ritrovato gamba, voglia, e soprattutto quel percorso anche interiore fatto in simbiosi con quello su strada gli ha messo dentro la voglia di lasciare un segno, il gusto, forse per la prima volta nella sua carriera, di emozionare ed emozionarsi, a prescindere dal successo finale o meno. E' così arrivata la prima grande impresa, quello sullo Zoncolan di sabato scorso, che ingenuamente, inconsapevoli, già definivamo epica. Ma non sapevamo cosa sarebbe accaduto sei giorni dopo.. Froome, come supponevamo in un altro post appena 24 ore fa, non si è accontentato di salire sul gradino più basso del podio, distante pochi secondi, ma ha deciso per il tutto o niente, o saltare definitivamente o vincere il Giro. Ha probabilmente centrato la seconda delle due opzioni. E per farlo sapeva perfettamente che non avrebbe potuto attendere l'ultima salita, dato che aveva da recuperare oltre 3 minuti su chi lo precedeva, nè la penultima, la facile ascesa del Sestriere. No, Froome sarebbe dovuto partire, da solo, sul Colle delle Finestre, sullo sterrato della Cima Coppi di questo Giro, a 80 km dal traguardo. Un piano, si badi bene, che anche in questo caso Froome ha costruito grazie all'appoggio fondamentale della squadra, che nella prima metà di salita ha sfiancato tutti gli avversari con il lavoro eccezionale di almeno tre gregari in maglia Sky. Ma da lì in poi sono state solo le gambe e la testa del britannico cresciuto in Sudafrica. Potente e costante in salita, spericolato forse ancora più nelle impegnative discese del Finestre e di Sestriere. E così il vantaggio si è dilatato, i minuti sono diventati quei 3 ed oltre necessari, l'impresa si è concretizzata, con il successo sul traguardo e la prima maglia rosa della sua vita.
Un'impresa storica per sovvertire la sua immagine agli occhi degli appassionati, dunque; ed ovviamente anche per correre "contro" la vicenda salbutamolo, che da sei mesi lo tiene comunque in sospeso. In questo ci sentiamo di sbilanciarci dicendo che, comunque vada a finire e qualsiasi decisione venga presa a livello di giustizia sportiva, nulla potrà sminuire quanto visto ieri. Innanzitutto perchè, a prescindere, non siamo di fronte ad una comune vicenda doping come quelle che purtroppo molto spesso siamo stati costretti a commentare, ma ad un caso controverso, al limite di disattenzione ma non di dolo. Il salbutamolo è infatti la sostanza contenuta nel medicinale che Froome, asmatico, assume ed ha sempre assunto e regolarmente denunciato per tutta la sua carriera. Nel caso in questione ne era stata riscontrata una concentrazione superiore al dovuto, che secondo la difesa può essere accidentale. In ogni caso nulla che abbia potuto modificare in modo sostanziale la prestazione sportiva. Ma, a prescindere da tutto questo e da come finirà la vicenda giuridica, il trionfo di ieri è in ogni caso quantomai al di sopra di ogni sospetto e di ogni discorso, in quanto paradossalmente nasce, in parte, proprio "a causa" di questa vicenda. Froome, sapendo di correre con tutti gli occhi addosso ed iper-controllato come mai prima in carriera, ha voluto dimostrare una volta per tutte a chiunque la propria superiorità, la propria pulizia e la propria classe. Vincendo un Giro corso in queste condizioni zittirebbe tutti, si diceva alla vigilia. Ha fatto di più, è entrato nella leggenda del ciclismo.
Ciò detto il Giro non è finito: la tappa di Cervinia presenta uno schema simile, tre salite in rapida successione, con la prima che è la più impegnativa. Le pendenze complessive sono meno severe, ma dopo le enormi fatiche di ieri le incognite restano. Froome avrà recuperato a sufficienza dopo lo sforzo compiuto? E gli avversari saranno in grado di dare battaglia per un'ultima volta? L'avversario più vicino resta Dumoulin, ma anche lui ha speso tantissimo difendendosi su un terreno non suo. Gli altri sono più indietro, è risalito sul podio Pinot, che ha trovato la giornata migliore proprio nella tappa decisiva, e si giocano il podio anche Lopez e Carapaz, giovani e rampanti scalatori. Il crollo dell'ex maglia rosa Simon Yates arrivato a 40 minuti (!) desta sensazione ma era forse annunciato, troppi gli sforzi delle prime settimane, sempre all'attacco con fin troppa spavalderia, poca, pochissima l'esperienza necessaria per gestire da leader le frazioni più dure e decisive.
L'altro crollo, infine, è stato purtroppo quello del nostro Pozzovivo, che sullo sterrato del Finestre ha visto il tanto agognato podio sfuggirgli forse una volta per sempre in carriera, a conferma di quanto, come in passato, il lucano manchi purtroppo l'appuntamento con le ultime tappe di montagna. L'Italia perde dunque l'ultimo uomo di classifica e sparisce di fatto dai radar. Rimane la consolazione dei quattro successi in volata di Viviani e la speranza di un pokerissimo nella kermesse dei Fori Imperiali che chiuderà l'edizione 101.






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