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mercoledì 17 novembre 2010

Un passo nella storia - Episodio 37

di Roberto Pelucchi
Come ha ricordato Fabio Stellato nella sua rubrica, il 15 novembre 1990 moriva Paolo Valenti, giornalista diventato celebre con 90° minuto, ma cronista di razza nato in radio. L'articolo che vi propongo è uscito sul Guerin Sportivo il 12 luglio 2005 ed è firmato da Paolo Pacchioni e Massimo Discenza, all'epoca entrambi radiocronisti di Rtl 102.5.

Proviamoci, a raccontare all'Italia che ascolta alla radio una sfida allo sprint tra Antonio Maspes e Michel Rousseau (Zurigo, mondiali di ciclismo 1961) che diventa un surplace di mezz'ora tra due velocisti che sembrano fermi, immobili). Proviamoci, ad essere testimoni a bordoring degli assalti furibondi di Nino Benvenuti e Emil Griffith (Madison Square Garden di New York, mondiale dei pesi medi 1967), mentre a tremila chilometri di distanza diciotto milioni di tifosi sono appesi, in piena notte, alle “nostre” emozioni. Il cronista Paolo Valenti ha avuto la ventura di trovarsi di fronte a queste e altre mille sfide; tante ne ha vinte, e con lo stesso rigore e la stessa passione ha descritto l'affascinante “immobilità” dei velocisti e i rabbiosi mulinare di pugni dei boxeur. Quaranta anni di Rai, quasi equamente divisi tra radio e televisione, una vita intera vissuta dietro il microfono. A ricordarlo soltanto come “il conduttore di 90° minuto” si fa un bel torto a un giornalista nato con la passione e il dono del racconto, a una personalità forte, perfezionista, eclettica. Perché c'è tanto sport nella vita di Valenti, ma anche cronaca, poesia, politica e teatro, perfino pittura, due romanzi e manuali di pratica sportiva.
Ma la popolarità arriva solo con quella creatura televisiva fatta nascere, quasi per caso, nel 1970, con l'amico Maurizio Barendson. 90° minuto rivoluziona le domeniche degli italiani, porta a casa i gol del campionato ben prima della Domenica Sportiva e le giacche a quadretti di Valenti diventano familiari come i papillon di Vittorio Orefice e l'ombelico di Raffaella Carrà. Dieci milioni di telespettatori ogni puntata, per venti anni, certificano il successo dell'idea e di quel modo di realizzarla. Prima di arrivare a firmare autografi in strada, Paolo attraversa mezzo secolo di storia del nostro Paese da testimone privilegiato, spesso in prima linea di fronte a piccole e grandi vicende che ne allenano curiosità, spirito di ricerca e sensibilità, doti che i telespettatori italiani gli riconosceranno poi, negli anni del successo popolare. Forse linearità e rigore Valenti li acquisisce via-dna dal padre Giulio, assistente universitario di fisica, uno dei “ragazzi di via Panisperna”. Ma Paolo, nato a Roma nell'ottobre del '22 e cresciuto a Firenze, sceglie un'altra strada. Lo attraggono le discipline umanistiche e a Genova, dove la famiglia si è trasferita, frequenta il liceo classico; poi torna a Firenze a studiare filosofia e a praticare sport. Corre in bicicletta e a piedi, si interessa di lotta, gioca a calcio; poi scrive tantissimo, perfino una pièce teatrale. Lo descrivono come un ragazzo timido e riservato, e quando una insegnante gli regala un consiglio: “E' meglio se ti cerchi un lavoro che non richieda facilità di parola!”, lui è già certo che invece sarà proprio quella, la sua strada. Valenti avvia una serie di collaborazioni (tra cui Radio Vaticana), ed entra in Rai grazie al concorso per radiocronisti del 1951, insieme all'amico Enrico Ameri.
La sua voce diventa subito popolare con Microfono per sette voci e poi con Radiosera, rotocalchi radiofonici ispirati a format americani. Alla gente piacciono. Per costruire i servizi, il direttore Vittorio Veltroni lo spedisce su e giù per l'Italia: Paolo segue decine di eventi, dalle Mille Miglia all'inondazione del Polesine (1951). Prepara con cura i testi e poi, al momento di andare in onda, butta via tutto e procede a braccio. Riesce a farlo per minuti, per ore, senza problemi. Ma sono le radiocronache sportive a coinvolgerlo maggiormente: eccolo al Palio di Siena e poi al Giro d'Italia, che segue per otto anni. La sua rubrica “Senza freni” inaugura un genere, che poi Sergio Zavoli esalterà con il Processo alla tappa. E' il 1957, e la televisione in Italia è una realtà. Ma Valenti resiste alla tentazione di passare al video e continua il lavoro di cronista radiofonico curando anche un'altra trasmissione, Telescopio. A neanche quarant'anni, è uno degli inviati top della radio italiana, e alterna con professionalità ed entusiasmo avvenimenti sportivi (le partite di Tutto il calcio minuto per minuto, le Olimpiadi di Roma 1960 e quelle di Tokyo 1964) ad eventi politici e culturali: segue i viaggi pastorali di Papa Paolo VI, primo Pontefice a uscire dalle Mura Vaticane, ma anche l'elezione di Giuseppe Saragat al Quirinale. “Quando il microfono è aperto tutto appare chiaro” amava ripetere. “Racconto ciò che osservo ed è tutto. Ciò che vedo lo vivo con massima sincerità; cerco di riprodurre in me gli stati d'animo del forte e del debole, per farli rivivere in chi ascolta”. Si ferma a Perugia qualche mese, come responsabile della redazione regionale, poi riprende a viaggiare. A casa lo aspettano la moglie Bruna, compagna per la vita (e curatrice del bel volume Paolo Valenti dal 1° al 90° minuto, pubblicato nel 2003) e crescono i figli Graziano, Mauro, Alessandro e Paola.
La radiocronaca del mondiale Benvenuti-Griffith, che tiene sveglia l'Italia, è l'apice della carriera. Un'ora di racconto, in bilico tra dramma ed euforia, tra sconfitta e vittoria, come ogni storia di sport. Il direttore della radiofonia, Aldo Salvo, in un telegramma gli scrive: “Avete vinto in due, magnificamente”, complimenti rari, per quei tempi. Il passaggio alla tv arriva pochi mesi dopo, quando Valenti accetta il ruolo di responsabile delle telecronache e va a dirigere il corso per telecronisti: tra i suoi allievi, Bruno Vespa e Bruno Pizzul. Dopo Mexico 70, quando le emozioni azteche moltiplicano la voglia di calcio degli italiani, la Rai strappa alla Lega Calcio una finestra in più per trasmettere i gol, prima della differita, in onda dalle 19, del secondo tempo di una partita. A gestire la mezz'ora di commenti e immagini sono Barendson e Valenti, gli stessi che poi, assieme all'insostituibile “terzo uomo” Remo Pascucci, lanciano e conducono 90° minuto. Poche chiacchiere e tanti gol, che Valenti racconta con stile asciutto e accattivante. Tecnicamente, una battaglia contro il tempo; ottenere e montare le immagini, all'epoca, è un'impresa: arrivano nelle sedi Rai pochi secondi prima della messa in onda, spesso “scortate” da Gazzelle della Polizia per sconfiggere il traffico, e commentate all'impronta. Ma il successo è rapido ed enorme, e 90° minuto (che dal '76 è parte integrante del programma-contenitore Domenica In) diventa una tappa fissa della domenica italiana, la “domenica della buona gente” di Vasco Pratolini.
Con il suo sorriso rassicurante, Valenti è lo “zio” che ci viene a trovare a casa nel giorno di festa, e i pasticcini sono le partite, che lui, per primo, ci fa vedere. La trasmissione, con lo storico gruppo di corrispondenti (i popolarissimi Marcello Giannini e Luigi Necco, Tonino Carino da Ascoli e Giorgio Bubba, Cesare Castellotti, Ferruccio Gard, Franco Strippoli e altri) entra nella vita di tutti. Paolo racconta anche momenti tragici: il 28 ottobre 1979, alla notizie della morte di Vincenzo Paparelli all'Olimpico, sospende la trasmissione: vincono amarezza e sconforto, quello non è più il suo sport. Valenti definisce 90° minuto “un servizio, un'utenza, come il gas e la luce elettrica”. Un servizio che il “gestore” non abbandona fino alla fine. Nell'ottobre 1990, a 68 anni, Valenti ascolta il suono dell'ultimo gong, come quella notte al Madison, e il giornalismo italiano perde uno dei suoi campioni più veri.

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